Storie di Dislessia: storia di Camilla Spadolini

Storie di Dislessia: storia di Simona Delfino e sue figlie

Il mio incontro con la dislessia è avvenuto in maniera casuale. La mia seconda figlia, la più piccola, frequentava l’ultimo anno di materna. All’ultimo colloquio mi consigliarono di andare a sentire una conferenza su come riconoscere i primi segnali di dislessia nella scuola primaria perché, a loro dire, la mia bimba poteva presentare alcuni aspetti caratteristici.

Certo non potevano fare una diagnosi ma preferirono avvisarmi.

Così sono andata a questa riunione e ne sono praticamente uscita con un peso sullo stomaco pazzesco. Tutti i campanelli di allarme che indicavano la dislessia c’erano: lentezza nel leggere, confusione tra A e E, confusione tra B;D;P, errori ortografici, saltare le righe mentre si legge, fatica eccessiva…tutto mi riconduceva a mia figlia ma non a quella piccola, ma alla più grandina che avrebbe iniziato la terza elementare a breve.

I sensi di colpa per le sgridate che le avevo fatto quando leggeva malissimo mi hanno accompagnato per un bel pezzo.

A settembre ne parlai con le maestre, che ammisero che forse c’era qualcosa e che se ne stavano accorgendo anche loro. Nonostante il grande impegno della bimba la lettura era veramente faticosa. Iniziammo logopedia da privato in quanto nella nostra ASL i tempi si aggirano sull’anno e la situazione migliorò tantissimo.

La bimba era più serena, le maestre ed io riuscivamo ad aiutarla meglio, gli esercizi davano risultati ottimi anche perché mia figlia era molto motivata.

In quarta e quinta elementare abbiamo iniziato logopedia con l’ASL e abbiamo fatto un PDP in accordo con le maestre in vista delle medie.

Devo dire che oggi, stiamo terminando la prima media e i professori sono stati molto flessibili, non hanno mai insistito per applicare il programma personalizzato, dato che mia figlia riesce a seguire bene ma, riescono anche a capire quando, ad esempio, concederle un po’ di più di tempo o quando dare meno peso agli errori di ortografia.

Le maestre della primaria invece erano con una formazione più vecchio stile ma, soprattutto la maestra d’italiano quando ha visto i miglioramenti ottenuti con logopedia si è un po’ ricreduta.

Adesso sto affrontando la certificazione della mia seconda figlia che, in effetti, ha sicuramente delle difficoltà maggiori della prima. Purtroppo la mia maggiore consapevolezza si scontra con il corpo docente della primaria che non collabora per nulla. Non riesco a parlare con loro, fino alla terza mi dicevano solo: “è troppo presto per certificare” quando io invece cercavo un dialogo e dei consigli su come aiutarla a casa nei compiti. Avendo avuto la fortuna di capirlo un po’ prima, volevo usare questo vantaggio temporale per colmare delle lacune o almeno provarci.

Iniziata la terza l’unica domanda che mi è stata posta durate il colloquio di secondo quadrimestre è “allora la vogliamo certificare?”

Per ora ho detto di no perché tutto ciò non ha senso, la certificazione senza un progetto didattico, una comunicazione serena tra persone, non ha senso. Da sola ho attivato la richiesta all’Asl in seconda (in modo da iniziare in terza con logopedia) anche in questo nessun appoggio, per loro la richiesta si fa in terza, (ma se poi si sa che bisogna aspettare un anno ha senso?), quando ho chiesto di dirmi quali erano gli errori o difficoltà che avrei potuto comunicare alla neurologa durante la visita, non ho avuto risposte.

Non che non ci fossero problemi, anzi mi veniva continuamente detto che la bambina aveva delle difficoltà e che dovevo fare qualcosa (senza spiegare cosa).

Ho capito però che per le mie maestre la certificazione non è vista come un punto di partenza per un lavoro di squadra ma, anzi è una ottima giustificazione per dare meno compiti, non far leggere la bimba ad alta voce in classe (che ci mette troppo e rallenta la lezione), non correggere i compiti (che poverina si demoralizza), non farle fare gli invalsi e togliersi un po’ di rogne.

Purtroppo davanti a certi pregiudizi si dovrebbe fare una battaglia che è impossibile se c’è una bambina di mezzo.

Ho deciso quindi di seguirla di più a casa, farle fare logopedia con una ottima professionista dell’Asl, informarmi e formarmi, rinunciando al dialogo certamente importantissimo con la scuola ma, evidentemente impossibile. Se le difficoltà perdureranno faremo la certificazione per tutelarla alle medie.

Riassumendo la mia esperienza ho trovato un buon appoggio nell’Asl, nelle altre madri con queste problematiche e anche nello sportello di ascolto della scuola primaria.
Ottime le maestre dell’asilo e disponibili almeno al dialogo i professori delle medie.

Non posso dire lo stesso per gli insegnanti delle elementari. Lì ho trovato poco interesse, se non delle resistenze. Mi chiedo come facciano delle madri con meno tempo, magari straniere, con un figlio con seri problemi, naturalmente all’inizio del percorso e disinformate, alle quali viene fatto firmare un documento e via.

Per la prima figlia mi sono ritrovata al colloquio a firmare un PDP senza averne prima discusso, e a tale firma non sono poi seguiti interventi personalizzati o dotazione di strumenti di supporto o compensativi. Mappe, grafici, esercizi personalizzati, io non li ho mai visti.

Per la seconda ho cercato di avviare un dialogo preventivamente ma ho trovato un muro. Tutto ciò che abbiamo fatto, le mie bimbe ed io lo dobbiamo alla nostra voglia e al nostro interesse.

Per fortuna ci sono un sacco di fonti e punti di incontro al di fuori della scuola (ad es. il punto dislessia in biblioteca e diversi convegni organizzati dal comune, internet, una cooperativa che aiuta nei compiti ecc, ecc).

Certo poi fa piacere sentirci dire ai colloqui che sono brave e migliorano ma, certo non grazie ai PDP che rimangono solo lettera morta nella nostra scuola primaria.

L’ennesimo pezzo di carta archiviato in una segreteria.
Anzi a dire la verità il PDP della mia prima figlia l’avevano pure perso in segreteria e ho dovuto riconsegnarlo in gran fretta e, questa volta farlo protocollare, attirandomi sguardi di odio da parte della segretaria.

Riassumendo la mia esperienza devo dire che chi fa da sé fa per tre, la scuola non è preparata e come tutte le grandi istituzioni tende ad autoconservarsi e a restare ancorata al passato. Se trovate dei bravi maestri teneteveli stretti!!!

Cercate appoggio anche al di fuori della scuola, in giro ci sono un sacco di soluzioni e aiuti.
Non bisogna arrendersi, secondo la mia esperienza con ottimismo e determinazione e anche divertendosi, si raggiungono ottimi risultati!

storia di Simona Delfino e sue figlie

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