Archiviata anche l’edizione 2017 del Festival di Sanremo, ascoltati e letti i commenti più disparati, osservato quanto ognuno focalizzi l’attenzione su un aspetto piuttosto che su un altro, resta forse in piedi solo una domanda, che si genera aggiungendo un semplice punto interrogativo a quello che, da qualche anno, è diventato lo slogan principe del festival: “Perché Sanremo è Sanremo?”
Io credo che la risposta sia, semplicemente, perché, in un modo o nell’altro, il Festival è sempre stato lo specchio della nostra società, in uno zibaldone in cui si mischiano i più svariati elementi ed in cui ciascuno, secondo i propri gusti ed orientamenti, può attingere a piene mani per elogiare, criticare, osservare, identificarsi, rifiutare, in un gioco collettivo in cui, spesso, siamo “maestri” ed in cui, a volte, la Musica risulta essere, paradossalmente, una delle componenti minori.
Sono anni che, dai vari Conti, Bonolis, Morandi, Fazio….sentiamo affermare:”Ah, quest’anno, finalmente, ascolteremo belle canzoni e le vere protagoniste saranno loro!!” auto-sconfessando quanto, sino all’anno prima, era stato detto, un po’ come succede per i detersivi che lavano bianco che più bianco non si può…fino al prossimo detersivo…
“Quot capita, tot sententiae”, dicevano i nostri padri latini ed è assolutamente giusto che sia così. Personalmente, l’unico “giudizio” che mi sento di esprimere, a proposito dell’aspetto musicale delle canzoni del festival, (ma che certo non nasce nel 2017 e non appartiene solo all’edizione di quest’anno), riguarda una progressiva, lenta, ma costante, “agonia della melodia”, a totale favore, uso e consumo dell’arrangiamento, un po’ come sfilate annuali di moda in cui abiti bellissimi, variegati, estrosi e variopinti ricoprano ogni volta corpi di modelle sempre più magre e dai volti sempre più inespressivi e simili.
Non per niente una volta, per proporre una canzone, poteva bastare una chitarra ed una voce e l’esperto che ti ascoltava (perché una volta era possibile farsi ascoltare e, anzi, ti venivano a cercare!!) capiva se il tuo pezzo fosse “forte” o meno, mentre oggi, se sarai fortunato quasi come al superenalotto e avrai la buona “sorte” di poter essere ascoltato, devi far sentire già quel che potrà essere la canzone, dotandola di un ricco e succoso arrangiamento che dia, quantomeno, l’idea del prodotto finito e augurandoti, magari, che il brano non venga necessariamente considerato bello, ma che sia rigorosamente “radiofonico”. Le cose cambiano e in questo ambito sono cambiate, (e quanto!), da molti anni a questa parte. Se fosse meglio allora o se sia, invece, meglio oggi è una valutazione che lascio volentieri ad altri.
Stefano Bossa