Selfie mania: quando scompare il mestiere del ritrattista Esagerato fanatismo e bisogno di gloria: il selfie rappresenta ciò che le persone sono

Selfie mania: quando scompare il mestiere del ritrattista Esagerato fanatismo e bisogno di gloria: il selfie rappresenta ciò che le persone sono

Selfie mania: quando scompare il mestiere del ritrattista Esagerato fanatismo e bisogno di gloria: il selfie rappresenta ciò che le persone sono 1Se artisti quali Tiziano, Van Eyck o Manet fossero ancora in vita, certamente si sorprenderebbero nel vedere quante più persone abbracciano la moda del selfie. Il selfie, termine coniato dall’omonimo inglese e inserito nell’italiano Zingarelli, è diventato ormai uno strumento di propaganda libero ed inattaccabile.
Non c’è neppure più il bisogno di un ritrattista per avere a propria disposizione una foto che ci rappresenti; basta avere puntata davanti a sé la propria fotocamera ed il gioco è fatto.

“Chiunque tenga in mano una macchina fotografica prima o poi sente il bisogno di immortalare se stesso” Viola Bachini e Michela Perrone, l’Espresso. È questa la moda comune nei possessori d’ogni età di fotocamere digitali. Il fenomeno, fatto nascere in tempi recenti soltanto a seguito della pubblicazione del primo selfie sulla piattaforma Flickr nel 2004, non è appannaggio dei soli giovani.
Tutt’altro.
Sempre più persone si cimentano in pose fantasiose nell’intento di rendere memorabili, o comune pubblici, i momenti della loro giornata.
I social, in tutto questo, ancora una volta giocano un ruolo fondamentale nella diffusione degli scatti personali. Instagram e Facebook, motori di condivisione di foto e altro materiale multimediale, permettono infatti a tutti coloro i quali intendano creare un mito attorno alla loro figura di divenire popolari.
Quando un tempo c’era la propaganda, ora c’è la più semplice e, senza alcuna eccezione, meno costosa soluzione del selfie.
La storia ricorda un selfie ancor più anziano del primo postato nel XXI secolo; più esattamente, nel lontano 1839, con Robert Cornelius sul retro del negozio di famiglia, l’umanità ha assistito al primo autoritratto fotografico della storia. Si dice infatti che l’allora trentenne commerciante di lampade abbia montato il cavalletto del suo apparecchio fotografico e lì davanti sia rimasto immobile per ben un minuto. A lavoro compiuto, egli donò all’umanità una palese imitazione di ciò che, nel 2004, si rivelò essere il primo selfie condiviso online.

La mania, almeno presso i giovani, è essenzialmente quella di protagonismo.
Un protagonismo che, se analizzato in relazione ai social in cui si concretizza, non ha nulla di male. A rendere noti i propri momenti sono soprattutto persone egocentriche, che sperano di rintracciare, nel numero e nell’entità dei likes ottenuti presso i loro followers, tratti comuni alla loro personalità.
Non vi è allora nulla di male a farsi ritrarre davanti ad uno specchio o in pose sempre più fantasiose. Studi recenti dimostrano uno spiccato interesse verso questo fenomeno dei selfie.
Ci dicono, in particolare, che vi è una porzione di giornata in particolare durante la quale converrebbe postare le proprie foto. È lo stesso Michele Mazza, studente di informatica umanistica a Pisa, a rivelare che quella serale sembrerebbe essere la fascia preferita dai giovani amanti dell’auto ritratto digitale.
Grazie al selfie, inoltre, equipe di informatici hanno potuto stabilire una serie di informazioni, sociali ed economiche, riguardo i diversi soggetti ritratti. Appare così evidente come siano le nazioni del Sud America quelle con l’indice di felicità più elevato.

Il selfie, dunque, ora come non mai, è strumento di propaganda libero e gratuito, un ritratto sempre più fedele della società in cui è inserito e, invero, dell’utente che ne usufruisce. Chissà come avrebbero reagito Manet o Van Eyck se, ai loro tempi, qualcuno avesse provato a farsi ritrarre a mo’ di selfie.

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