di Pasquale Lattari *
Il diritto svela specificità, peculiarità e ratio degli istituti quando se ne invoca applicazione da parte dei cittadini che reclamano la tutela dei diritti previsti.
Una esempio concreto e sintomatico è in materia di retribuzione che, proprio in ragione di una specifica necessità di tutela a dipendenti pubblici, consente di approfondire il nucleo dell’istituto nelle sue componenti essenziali.
Si osserva.
Il Lavoratore – ai sensi dell’art. 36 della Costituzione – ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.
I canoni previsti dalla Costituzione per la retribuzione – il cd minimo costituzionale – sono rispettati solitamente nella determinazione specifica – legislativa o pattizia – della retribuzione base.
La determinazione della retribuzione è infatti affidata alla legge – nel caso di lavoratori in regime di regolamentazione pubblicistica – o ai contratti collettivi nazionali di lavoro – applicantesi ai lavoratori destinatari in ragione del rapporto di lavoro in essere.
E tali determinazioni e regolamentazioni i datori di lavoro ed il lavoratore richiamano nella sottoscrizione del contratto individuale di lavoro.
Ma la retribuzione iniziale stabilita nel contratto di lavoro deve essere conservata e mantenuta – durante tutto lo svolgimento nel tempo del rapporto lavorativo – nel valore economico reale al fine di preservare il potere di acquisto nonostante i fenomeni inflattivi. Il credito non è nominalistico fisso ed immutabile nel tempo ma il lavoratore ha diritto ad una retribuzione che aumenti per conservarne il valore reale ab origine determinato. Pena la perdita delle caratteristiche e finalità della retribuzione.
A tal fine l’ordinamento italiano prevede per tutti i lavoratori meccanismi di adeguamento che assicurano, garantiscono e tutelano il valore reale della retribuzione rispetto ai fenomeni inflattivi:
– per i dipendenti contrattualizzati del pubblico impiego ed i lavoratori in genere cui si applica il regime privatistico è previsto il meccanismo di adeguamento retributivo regolato dalla contrattazione collettiva (vd per il pubblico impiego art. 45 e segg.ti d.leg.vo 165 del 201) che prevede rinnovi alla scadenza con riferimento all’indice IPCA https://www.istat.it/it/archivio/216010 (indice armonizzato dei prezzi al consumo al netto del prezzo dei beni energetici) . L’indice IPCA ha sostituito i precedenti strumenti previsti analogamente al fine mantenere – in ragione del costo della vita – il potere di acquisto della retribuzione ossia il valore reale delle somme stipendiali.
In precedenza alla paga base si aggiungeva – prima con accordi sindacali e poi con legge 38 del 1986 – l’indennità di contingenza (nel settore pubblico indennità integrativa speciale) che cresceva automaticamente in base ad un indice calcolato dall’ISTAT in proporzione all’aumento del costo della vita. Tale indice è stato poi sostituito dal tasso di inflazione programmato, e poi da ultimo dall’indice IPCA previsto dall’Accordo Quadro per la riforma degli assetti contrattuali del 2009 esteso con l’Intesa per l’applicazione dell’Accordo quadro al pubblico impiego del medesimo anno.
– per i dipendenti regolati dal diritto pubblico della PA sono previsti meccanismi legislativi di adeguamento:
– per i magistrati ordinari, nonché dei magistrati del Consiglio di Stato, della Corte dei conti, della giustizia militare e degli Avvocati e Procuratori dello Stato il meccanismo di adeguamento delle retribuzioni è stabilito dagli artt. 11 e 12 della legge 2 aprile 1979, n. 97
– per il personale appartenente alla carriera diplomatica l’adeguamento retributivo è regolato dal d.P.R. n. 18 del 1967, il cui art. 112 – sostituito dall’art. 14 del d.lgs. 24 marzo 2000, n. 85 – che ha introdotto il sistema della contrattazione, da trasfondere successivamente in un atto regolamentare, emanato sotto forma di decreto del Presidente della Repubblica
– per personale cosiddetto non contrattualizzato della PA – disciplinato all’art. 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 per es il personale della Guardia di finanza – gode dei meccanismi di adeguamento retributivo previsti della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (vd per es. art. 24) e così via
– per tutti i lavoratori in pensione è previsto che i trattamenti pensionistici – cd retribuzione differita (vd sentenza Consulta n.70 del 2015) – siano assogettati ex lege ad adeguamenti al costo della vita e dei fenomeni inflazionistici (vd normativa a partire legge 153 del 1969 e seguenti modifiche).
Ed anche la giurisprudenza della Corte di Cassazione conferma l’essenzialità di tali strumenti di adeguamento retributivo ai fenomeni inflattivi [1]. Anzi precisa che la retribuzione oltre alla componente cd. base fissata dalla legge è costituita anche da meccanismi e strumenti finalizzati a renderla sempre un valore reale per il lavoratore – indennità di contingenza indennità integrativa speciale, tasso di inflazione programmato, l’indice IPCA etc. – previsti dalla contrattazione collettiva o dalla legge e richiamati nel contratto individuale di lavoro.
L’essenzialità di tali elementi retributivi si evidenzia ancor più nelle fasi di patologia e di disfunzionalità che minano il valore reale delle retribuzioni. Si osserva.
Per ragioni di interesse generale del paese di risamento dell’ enorme deficit nazionale ed in ossequio ai parametri imposti dall’UE è stato operato nel 2010 – con il d.l. 78 convertito in legge 122 del 2010 ..ma anche in precedenza verso la fine degli anni ’90 – il cd blocco dei meccanismi di adeguamento delle retribuzioni e della perequazione delle pensioni. Ma:
-la sentenza Consulta n. 178/2015 ha dichiarato l’illeggittimità per il lungo e pluriennale congelamento della contrattazione collettiva unica via di adeguamento della retribuzione ai fenomeni inflazionistici per i dipendenti del pubblico impiego contrattualizzati
– la sentenza Consulta n. 70 del 2015 parimenti ha dichiarato incostituzionale il blocco alle perequazioni dei trattamenti pensionistici e ribadisce anche per la pensione che la “proporzionalità e adeguatezza non devono sussistere soltanto al momento del collocamento a riposo, «ma vanno costantemente assicurate anche nel prosieguo, in relazione ai mutamenti del potere d’acquisto della moneta» “
Tali meccanismi continuativi ed effettivi tuttavia anche se possono essere non automatici possono essere sterilizzati – per interessi generali superiori – solo temporanemente ma non possono mancare o essere aboliti del tutto.[2]
Il lavoratore e tutti i lavoratori – siano esso assoggettati alle normativa privatistica cui si applicano i CCNL o alla legge – vantano quindi un vero e proprio diritto soggettivo all’applicazione effettiva dei meccanismi di adeguamento retributivo per garantire il valore reale della retribuzione.[3]
Ed a tutela di tale diritto il lavoratore ha diritto di azione (ex artt. 99-100 cpc) dinanzi ad autorità giudiziaria (ex art. 2907 cc) al rispetto di tutti i surricordati principi ordinamentali e costituzionali in materia di retribuzione.
Non mancano tuttavia eccezioni a tali principi attualmente ancora previsti nel ns ordinamento: il più eclatante è quello previsto dalla normativa per i dipendenti del Ministero affari esteri in servizio all’estero nelle ambasciate, concolati ed istituti italiani di cultura..[4]
Proprio in ragione di mancato adeguamento della retribuzione pluriennale ed in costanza di elevati tassi di inflazione su ricorso di numerosi lavoratori in servizio nelle sedi consolari e diplomatiche si era instaurata giurisprudenza (sentenze Tribunale di Roma) che riconosceva il diritto soggettivo dei dipendenti ad ottenere l’adeguamento retributivo in ragione di fenomeni inflattivi e del variare degli elementi previsti ex lege.[5]
Di recente invece la CdA di Roma[6] ha negato tale diritto riducendo la pretesa dei dipendenti ad una mera aspettativa avendo il datore di lavoro una discrezionalità amministrativa totale.
L’assenza di diritti in capo al lavoratore riguardo l’adeguamento retributivo in riferimento ai fenomeni inflattivi – data dall’interpretazione della CdA – crea un vulnus normativo oltrechè rispetto al sistema delle leggi ordinarie anche rispetto a diversi profili costituzionali (vd citate sentenze della Consulta).
E’ evidente e calzante per i dipendenti del Ministero affari esteri quanto afferma la Consulta:
– la necessità imprescindibile del meccanismo di adeguamento retributivo per adeguare la retribuzione al valore reale tale da rispettare la proporzionalità ed adeguatezza ex art. 36 cost.ne;
– l’effettività di applicazione di tale meccanismo a tutela del diritto ad una retribuzione reale del lavoratore
– la non applicazione di tali meccanismi protratta per lungo tempo è intollerabile e contraria alla Costituzione
Pertanto:
1 – o la normativa – nell’espressione “è suscettibile…” – attribuisce un diritto in capo al lavoratore al ricorrere delle modifiche dei parametri ivi previsti derivante da un’interpretazione conforme ed evolutiva ai principi costituzionali ed ordinamentali attuali,
oppure
2 – la normativa – se nel dettato letterale non consente e non conferisce alcun diritto al lavoratore ma solo mera aspettativa subordinata alla discrezione meramente potestativa datoriale – contrasta con il sistema normativo e con la Costituzione.
E’ evidente che in materia di retribuzione vi sia spazio per la discrezionalità amministrativa. Il diritto soggettivo all’adeguamento della retribuzione è pieno: dunque, se c’è diritto soggettivo alla retribuzione ed all’adeguamento retributivo v’è pure obbligo in capo alla PA e non può esservi alcuno spazio alla discrezionalità della stessa PA circa l’an: tertium non datur…
In sostanza i fenomeni che incidono sensibilmente sul valore reale della retribuzione – considerato l’elevato tasso di inflazione di alcuni paesi esteri ed anche il lungo lasso di tempo di mancato adeguamento – riducendo a mera aspettativa del lavoratore negando il diritto soggettivo determina che il meccanismo di adeguamento retributivo – parte essenziale della retribuzione – è ridotto ad un elemento accessorio ed aleatorio… degradato ad una “graziosa concessione” del datore di lavoro e quindi a una mera aspettativa per il lavoratore!!
Peraltro i dipendenti del MAE sarebbero gli unici della PA – ma anche del lavoro privato – ad esser privi di diritti all’adeguamento della retribuzione ai fenomeni inflattivi.
In ragione dell’interpretazione contraria ai principi costitizionali è stato avviato ricorso dinanzi alla Corte suprema di Cassazione con la finalità o di dare una interpretazione evolutiva della “equivoca” e datata normativa o – ove non consentito dalla lettera della legge – di sollevare questione di costituzionalità. Vedremo …
* Avvocato civilista e penalista del foro di Latina. Autore di pubblicazioni sui temi del Lavoro e P.A., è attualmente in libreria per i tipi della Key Editore con “Compendio di diritto disciplinare del pubblico impiego privatizzato” (https://www.ledmagazine.it/nellultimo-libro-di-pasquale-lattari-una-pratica-lettura-delle-norme-sul-procedimento-disciplinare-a-carico-del-lavoratore/ ) ed un recentissimo lavoro a più voci sulle implicazioni dello stress da lavoro (https://www.ledmagazine.it/stress-da-lavoro-dalla-key-editore-un-attento-studio-su-campo-dallavvocato-lattari-e-gli-psicologi-spanu-e-vitiello/)
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[1] – la sentenza 4868 del 1982: la retribuzione non può essere immutabile nel tempo ed il giudice – ai sensi art. 2099 cc e 36 Cost.ne – deve tener conto oltrechè della sufficienza anche dell’aumento del costo della vita e dell’affinamento qualitativo delle prestazioni lavorative con la continua applicazione professionale.
– la sentenza 6108/92: gli strumenti di adeguamento della retribuzione ai fenomeni inflattivi – all’epoca l’indennità di contingenza – per la funzione di rendere reale il salario nominale assume rilievo ai fini dell’adeguatezza della retribuzione ai sensi dell’art. 36 Cost.ne
– la sentenza 717 del 1985: le somme dovute allo scopo di adeguare la retribuzione nominale a quelle reale sono componente essenziale dell’originario credito di lavoro: “La maggior somma dovuta al lavoratore ai sensi dell’art. 429 comma 3 c.p.c. per la svalutazione monetaria del suo credito, non rappresenta una forma risarcitoria da fatto illecito, ma costituisce una componente essenziale dell’originario credito di lavoro, avente lo specifico scopo (al pari dell’indennità di contingenza) di adeguare la retribuzione nominale a quella reale, restando pertanto necessariamente assoggettata a tutte le norme giuridiche proprie del credito di lavoro, anche per quanto concerne il regime tributario..” (Identica la Cass. 3543 del 1990 ma anche 3252 del 1987 e seg.g.ti)
– la sentenza n.3749/00: i meccanismi di adeguamento – per es. indennità di contingenza – insieme alla retribuzione base sono elemento essenziale del cd minimo costituzionale.
– la sentenza n. 16866/08: la funzione dei meccanismi di adeguamento retributivi ai fenomeni inflazionistici – come l’indennità di contingenza dell’epoca – è di rendere reale il salario nominale ai fini dell’art. 36 cost.ne
– la sentenza n. 24449 del 2016 : il mancato adeguamento della retribuzione all’aumentato costo della vita nel corso del lungo periodo lavorativo è idoneo a rendere il percepito non più proporzionato al valore del lavoro.
[2] – la sentenza Consulta n. 43/80 (n.4 ultimo paragrafo) fa riferimento alla non necessità di meccanismi automatici…e conclude: “la possibilità di maggiorazioni dell’originario importo dei contratti nonché degli assegni sta a dimostrare che il legislatore ben può adeguare la retribuzione alle variazioni del costo della vita con interventi adottati di volta in volta senza essere vincolato all’adozione di meccanismi automatici”
–la sentenza Consulta n. 34 del 1985 (n.5 pragrafo 4) – in relazione al blocco o taglio della contingenza e della scala mobile – affermava in relazione ai meccanismi di adeguamento della retribuzione che essendo frutto di libere scelte relative al valore dei punti di contingenza etc…”occorre concludere che non si tratta dell’unico mezzo atto a soddisfare le esigenze indicate nell’ultima parte dell’art. 36 primo comma (costituzione) bensì di uno tra i vari strumenti possibili il cui funzionamento può essere desensibilizzato o rallentato – come avvenuto nel gennaio 1983 – senza per questo violare la costituzione.”
–la sentenza della Consulta n.243 del 1993: “la retribuzione vada riducendosi automaticamente con il passare del tempo, senza che ciò corrisponda ad una riduzione della qualità o quantità del lavoro. Ne consegue una lesione del principio di proporzionalità stabilito dall’articolo 36. Ciò è stato già rilevato da questa Corte con la sentenza n. 142/1980, secondo cui l’esclusione della contingenza dal computo dell’indennità di anzianità spettante ai lavoratori privati (esclusione disposta dal decreto-legge n. 12 del 1977, convertito, con modificazioni, nella legge n. 91 del 1977), anche se nel breve periodo non arrecava offesa in misura censurabile al criterio di proporzionalità stabilito dall’articolo 36 della Costituzione, con il progredire del tempo, in difetto di congrue compensazioni, avrebbe rischiato di determinare squilibri più gravi di quelli in atto, il che avrebbe obbligato il legislatore a por mano ad adeguati bilanciamenti al fine di evitare offesa non solo agli articoli 3 e 36, ma anche all’articolo 38 della Costituzione. Più in generale, infatti, occorre considerare che l’indennità integrativa speciale è uno strumento per adeguare il valore reale della retribuzione alle variazioni del valore reale della moneta cagionate dall’inflazione. Tale adeguamento – in qualunque modo attuato – è essenziale per conservare il rapporto di proporzionalità, garantito dall’articolo 36, tra retribuzione e quantità e qualità del lavoro, posto che tale rapporto richiede ovviamente di essere riferito ai valori reali di entrambi i suoi termini. L’adeguamento delle retribuzioni alle variazioni del costo della vita può essere perseguito con una molteplicità di strumenti: ma se – e nella misura in cui – la legge o la contrattazione abbiano scelto la via degli adeguamenti automatici, obliterarli significa ledere il rapporto di proporzionalità costituzionalmente necessitato.
[3] – Il principio di sufficienza assume un autonomo rilievo per le retribuzioni più basse, in relazione alle quali l’indennità integrativa speciale – riferita come essa è alle variazioni del costo della vita – assolve anche ad una ineliminabile funzione di conservare alla retribuzione reale quella capacità di assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa che costituisce il secondo e più strettamente cogente criterio stabilito dall’articolo 36 della Costituzione. “
Una recente sentenza della Cassazione n. 24449 del 2016: “Come è stato rilevato in dottrina, l’art. 36 Cost., comma 1, garantisce due diritti distinti, che, tuttavia, “nella concreta determinazione della retribuzione, si integrano a vicenda”: quello ad una retribuzione “proporzionata” garantisce ai lavoratori “una ragionevole commisurazione della propria ricompensa alla quantità e alla qualità dell’attività prestata”; mentre quello ad una retribuzione “sufficiente” dà diritto ad “una retribuzione non inferiore agli standards minimi necessari per vivere una vita a misura d’uomo”, ovvero ad “una ricompensa complessiva che non ricada sotto il livello minimo, ritenuto, in un determinato momento storico e nelle concrete condizioni di vita esistenti, necessario ad assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. In altre parole, l’uno stabilisce “un criterio positivo di carattere generale”, l’altro “un limite negativo, invalicabile in assoluto”. La Corte territoriale ha tenuto conto della duplice valenza del precetto costituzionale, ed ha ritenuto che il mancato adeguamento della retribuzione all’aumentato costo della vita nel corso del lungo periodo lavorativo fosse idoneo a rendere il percepito non più proporzionato al valore del lavoro, secondo la valutazione che le stesse parti inizialmente ne avevano fatto, con un’inevitabile ricaduta anche sul mantenimento dell’idoneità ad assolvere alle funzioni di soddisfacimento delle esigenze di vita. Nè tale ragionamento, nella parte in cui ha ad oggetto non tanto l’importo inizialmente stabilito, quanto il suo permanere immutato per lungo tempo malgrado l’aumento del costo della vita, viene specificamente confutato.
[4] – l’art. 157 dpr 18 del 1967 (Retribuzione) recita:
“ – La retribuzione annua base è fissata dal contratto individuale tenendo conto delle condizioni del mercato del lavoro locale, del costo della vita e, principalmente, delle retribuzioni corrisposte nella stessa sede da rappresentanze diplomatiche, uffici consolari, istituzioni culturali di altri Paesi in primo luogo di quelli dell’Unione europea, nonchè da organizzazioni internazionali. Si terrà altresì conto delle eventuali indicazioni di massima fornite annualmente dalle OO.SS. La retribuzione deve comunque essere congrua ed adeguata a garantire l’assunzione degli elementi più qualificati.
La retribuzione annua base è suscettibile di revisione in relazione alle variazioni dei termini di riferimento di cui al precedente comma e all’andamento del costo della vita.
La retribuzione annua base è determinata in modo uniforme per Paese e per mansioni omogenee. Può essere consentita in via eccezionale, nello stesso Paese, una retribuzione diversa per quelle sedi che presentino un divario particolarmente sensibile nel costo della vita.”
[5] – la sentenza Trib.le Roma n. 17610 del 2012 riconosce che “L’art. 157 dpr 18 del 1967 deve pertanto essere interpretato in conformità dell’art. 36 cost.ne nel senso che il personale che rientra nel campo di applicazione della disposizione citata, pur in assenza di automatismi, ha diritto alla revisione della retribuzione base annua in relazione alle variazione dell’aumento del costo della vita nel paese di servizio. Variazione incontestate, e comunque documentalmente provate nel caso di specie. “
Qualora si interpretasse la disposizione citata nel senso di lasciare all’apprezzamento discrezionale del Ministero resistente la valutazione in merito all’an ed al quantum della retribuzione annua base, degradando così la posizione del ricorrente al mero interresse legittimo, l’art. 157 cit si porrebbe in contrasto con il principio costituzionale del diritto soggettivo perfetto (ed inviolabile anche da parte della PA) ad una retribuzione proporzionata ex art. 36 cost.ne. “
[6] La sentenza Corte di Appello di Roma n. 464 del 2018 afferma che ”Il legislatore ha indicato soltanto come possibile l’aumento della retribuzione annua (“..è suscettibile di revisione..”) a fronte della variazione degli elencati parametri normativi e proprio perché ha omesso di prestabilire i tempi di esecuzione degli aggiornamenti e la loro misura, ha mostrato appieno di voler rimettere alla discrezionalità dell’amministrazione la scelta di un intervento in tal senso. …
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