Dunque la notizia c’è e tiene banco da giorni, proveniente dalla più recente ‘uscita’ del ministro per il commercio internazionale, Liam Fox. Secondo quanto apertamente riferito dall’autorevole membro del governo May, con l’avvento di Brexit i cittadini UE potranno fare ingresso nel paese solo se in possesso di un lavoro. Confermato pure il fatto che la libertà di movimento delle persone verso la Gran Bretagna cesserà ineluttabilmente entro marzo 2019.
Come dichiarato da Fox all’emittente radio LBC, resta fermo che “…lo Stato debba differenziare tra chi entra nel Regno Unito con un proprio lavoro, dunque in grado di contribuire alla vita economica, e chi vi fa ingresso utilizzando servizi e cogliendone i benefici senza aver mai contribuito a questi”.
Sarà forse ormai acquisita consapevolezza dei britannici su quanta parte della loro vita cambierà – e concretamente – a partire dal fatidico scoccare (ore 23,00) del 29 marzo 2019, con l’uscita dal novero dei paesi dell’Unione. Sarà anche positivo che la gente, prima che la sua stessa classe politica, abbia assorbito e metabolizzato una scelta che ancora agli analisti appare inspiegabile e contraddittoria per tanti versi, ma di certo tra il dire (guardare da lontano ciò che si annuncia) e il fare (subire e praticare il cambiamento, come questo annunciato o … minacciato dal ministro Fox) c’è bella differenza. Guardare da lontano gli eventi, gli effetti che presto avranno la concretezza di un’eventuale «chiusura dei cieli» o le ancora insondabili incertezze sui commerci: è qui che si gioca la partita che impegna innanzitutto la premier uscente Theresa May. Del resto, che il momento sia delicatissimo, oltre che storico, lo prova perfino il dato che nessun politico britannico ambisca davvero a prenderne il posto e a gestire e governare il fatidico passaggio, salto nel vuoto da temere, più che traguardo da attendere.
Senza l’intesa complessiva con gli ormai ex partners dell’Unione sulle modalità dell’uscita, Brexit conserva tutta la sua fragilità che, tradotto in termini di vita reale, non tarderebbe a tramutarsi in vera tensione sociale al solo profilarsi di più concreti e ravvicinati problemi.
Più che quello meteorologico (da sempre stabilmente british!) il clima ‘da Brexit’ è instabile e vive negli alterni esiti nel dibattito interno. Dalle trasmissioni tv fino sulla stampa, inclusa la diffusissima free-press in tutte le sue edizioni, si osservano i programmi politici tentando di anticipare il modo come questi si tradurranno in misure vere e proprie da proporre ai cittadini e attuare nella vita reale.
È qui che le cose si complicano e si rischia di assistere a un confronto contraddittorio e parziale che a volte pare dimenticare il bene comune finendo con inquinare la verità storica, valorizzando aspetti niente affatto condivisi dalla generalità dei cittadini e sottacendone altri che meriterebbero ben altro spazio e considerazione nell’interesse di tutti. Come a dire “tutto il mondo è paese”, noteremmo facilmente noi italiani, meglio avvezzi alla ben più rissosa politica nostrana!
Tornando all’ipotesi Fox, interrogato se reputi positivamente la politica del governo May che ha fissato a quota 100.000 il limite di immigrati consentito per ogni anno, il ministro ha risposto “Questa è la misura fissata dal governo … il quadro andrà certo riveduto e vedremo cosa fare dopo Brexit. Nessun dubbio – dunque – sul sostegno da dare alle politiche di accoglienza, ma altrettanto deve ritenersi doveroso vigilare sull’impatto che il fenomeno immigrazione svolge sul fronte dell’occupazione”.
Un timore dei sostenitori di Brexit è, infatti, che il Governo possa infine cedere alle pressioni di Bruxelles e capitolare sulla libertà di movimenti, di fatto risolvendosi in una specie di scambio, mera offerta commerciale di comune vantaggio. Comunque si sta cercando di evitare i danni che al quadro economico nazionale deriverebbero da una linea spregiudicata sull’immigrazione che rischierebbe di condurre perfino ad una carenza di lavoratori.
Ancora fonti del Governo rincarano: ” Non stiamo certo studiando un sistema che si riveli nocivo per la nostra economia” e così
il dibattito intorno alle linee tratteggiate da Fox coinvolge non soltanto le valutazioni di ordine strettamente interno, ma giunge a considerare i rapporti comunque inscindibili fra Regno Unito e i partners europei più tradizionali. A cominciare da Francia e Italia, che già il ministro ha previsto verranno scavalcate quanto prima in volume di esportazioni per far sì che il Regno Unito si sollevi dal quinto al secondo posto fra i Paesi più ricchi del G7.
Chiave di svolta di simile rivoluzione sarà incoraggiare migliaia di imprese medie o piccole ad esportare e vendere i loro beni o servizi oltremanica. Le aziende, sostiene Fox, non dovranno temere di vendere lontano da casa. “Se sarete disposti a fare questo salto in avanti per convinzione e fiducia, noi saremo al vostro fianco contro ogni ostacolo sul vostro cammmino”.
Dibattito politico a parte, la proposta Fox suscita in queste ore una netta contrapposizione tra le diverse componenti del tessuto sociale. Brexit o no, la realtà di vita del paese reale non sembra rispecchiarsi nelle scelte annunciate dal governo che tende a disegnare prospettive già proclamate come epocali successi per l’economia della nazione, candidata a diventare, sempre secondo il Ministro, una superpotenza del’export del ventunesimo secolo. Grande parte di popolazione (ed elettorato!) è, però, quotidianamente alle prese con temi primari, a comnciare dalla sanità in crisi preoccupante. Anche su questo i dati sono oggettivi e provengono da un allarme contenuto in una lettera aperta di Chris Hopson, capo esecutivo di NHS Provider, ente di assistenza sanitaria di livello nazionale che occupa oltre un milione di dipendenti. Con il mancato avvio di Brexit, avverte Hopson, la salute pubblica potrebbe irrimediabilmente soffrire a causa di un diminuito coordinamento di norme. Puntuali, i sostenitori di Brexit hanno già liquidato l’avvertimento come allarmismo vano e inopportuno, eppure sono in tanti ad affermarlo: quando la gente sa di cosa parla, e mr. Hopson sa davvero di cosa parla, e cerca di dare l’allarme, è proprio allora che bisognerebbe ascoltarla.