Il 19 luglio di 190 anni fa, venivano trucidati dal piombo borbonico quattro rivoltosi dei #moti cilentani del 1828, colpevoli di lesa maestà ai sensi dell’art. 123 delle leggi penali del tempo.
Per i tipi di Galzerano Editore, il libro di Giuseppe Galzerano-autore che ha dato alle stampe un racconto di storia che diventa memoria di luoghi e uomini attraverso le “Memorie” di Antonio Galotti.
Pubblicate a Parigi nel 1831, non furono mai finora tradotte e stampate in Italia; e non sono citate neppure nella “Bibliografia del Risorgimento”. Finalmente le “Memorie“, scritte probabilmente da Giovanni La Cecina e tradotte in francese nel 1831 da S. Vecchiarelli, dopo quasi 170 anni, tradotte in italiano da Giuseppe Ruocco, sono state portate alla luce dall’editore Galzerano con operazione già di per sé di notevole importanza. Ma il merito maggiore di Giuseppe Galzerano, studioso oltre che editore, è di avere anteposto alle “Memorie” un saggio corposo, documentatissimo, sulla rivolta e sulle vicende di Galotti e degli altri protagonisti. Scrive Galzerano: “Nel 1828 il Cilento si ribella alla dinastia borbonica e chiede la Costituzione. La rivolta fu domata con torrenti di sangue e nel terrore. Gli insorti furono catturati, subirono processi farsa, patirono anni e anni di galera ‘ai ferri’, molti furono condannati a morte: le loro teste vennero esposte in gabbie di ferro, innalzate nelle piazze dei paesi e lungo le strade dove abitavano i familiari. Un paese, Bosco, che aveva accolto con ‘allegrezza’ gli insorti, fu bruciato
“La rivolta fu domata con torrenti di sangue e di terrore. Gli insorti furono catturati, subirono processi farsa, patirono anni e anni di galera ‘ai ferri’, molti furono condannati a morte, le loro teste vennero esposte in gabbie di ferro, innalzate nelle piazze dei paesi e lungo le strade dove abitavano i familiari“.
Il tribunale militare si riunì il 18 luglio alle sei del mattino a casa di Mattia Tipoldi, ove era ubicato il quartier generale del commissario del re. Fu un processo sommario, senza alcun interrogatorio, senza alcuna procedura, senza alcun appello, senza alcun senso di giustizia e si concluse con sentenza di morte tramite decapitazione con il terzo grado di pubblico esempio. Gli articoli 5 e 6 delle leggi penali disponevano la morte per fucilazione “trasportando il condannato nel luogo dell’esecuzione, a piedi nudi, vestito di nero e con un velo nero sopra il volto”. Quindi i quattro condannati non vennero decollati ma fucilati al tramonto del 19 luglio 1828, come racconta il seguente verbale riportato dal Mazziotti: “Noi D. Giuseppe Musci primo tenente dei cacciatori ci siamo conferiti oggi nel locale detto la Piazza di Spio di questo capoluogo onde dqre esecuzione ad una sentenza con la pena capitale. Difatti, con la truppa sotto le armi, abbiamo proceduto alla fucilazione dei condannati qui in seguito indicati, cioè D. Michele Bertone, D. Domenico De Siervo, Davide Riccio, Nicola Carriello”.
A sancire quei tragici eventi v’è in quel luogo una lapide che Genius Loci Cilento ha voluto onorare con una piccola corona di fiori offerta da taluni esercenti vallesi a cui ci siamo rivolti col fine di mantenere vivo il ricordo dei nostri martiri, riaffermandone la fede e consacrandoli, ancora una volta, all’immortalità. Perché, la loro immortalità, è quello che Noi sentiamo oggi.