di Beatrice Celli* e Gloria Naticchioni**
Come evidenziato nell’articolo pubblicato su queste pagine nel giugno scorso (https://www.ledmagazine.it/diritto-bancario-quale-protezione-ai-correntisti-unanalisi-sulle-norme/) le nullità per difetto di forma scritta ex art. 117, commi 1 e 3, o per mancata determinazione delle condizioni o rinvio agli usi ex art. 117, commi 4 e 6 TUB, con le diverse conseguenze dell’eliminazione o sostituzione del saggio passivo applicato, rientrano nella categoria delle nullità di protezione, nella specie, del correntista.
Lo si evince dall’esplicito tenore dell’art. 127, comma 2, TUB che recita “La nullità negoziale – anche se di protezione – DEVE sempre essere rilevata dal Giudice. Come noto, le Sezioni Unite (a partire dalla sentenza 14828 del 2012 e a proseguire con le pronunce 26242 e 26243 del 2014), hanno definitivamente chiarito che, alla luce del ruolo che l’ordinamento affida alla nullità contrattuale quale sanzione del disvalore dell’assetto negoziale, che ha una rilevanza super-individuale, il Giudice ha il potere-dovere di rilevare dai fatti allegati e provati, o comunque emergenti “ex actis”, una volta provocato il contraddittorio sulla questione, ogni forma di nullità del contratto stesso. In particolare si legge in Sezioni Unite del 2014 sentenza n. 26242 ai punti 3.12.2. e 3.12.3 che:
<<…premesse le indicazioni provenienti dalla Corte di giustizia Europea in tema di rilievo officioso che consentono di desumere un chiaro rafforzamento del potere – dovere del giudice di rilevare d’ufficio la nullità, si deve osservare che le nullità di protezione ….sono funzionali nel contempo a un interesse tanto generale (l’integrità e efficienza del mercato, secondo l’insegnamento della giurisprudenza europea) quanto particolare/seriale (quello di cui risulta esponenziale la classe dei consumatori o dei clienti), l’omessa rilevazione officiosa delle nullità finirebbe per ridurre la tutela di quel bene primario consistente nella deterrenza di ogni abuso in danno del contraente debole>>.
Dunque la nullità, anche se di protezione, è un rimedio a rilievo officioso, purché non contrastante con l’utilità del cliente e ciò ha la sua radice nell’asimmetria della posizione delle due parti contrattuali, una forte e una che non può che subire.
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Sull’importanza delle nullità, soprattutto se di protezione, si è di recente pronunciata anche la Corte di Giustizia Europea che, con sentenza del 18 febbraio 2016, causa RGC49/2014 [1] ha evidenziato che esse debbono essere sempre rilevate d’ufficio dal Giudice persino contro l’autorità di un giudicato. Nella specie si è trattato di vagliare il diritto spagnolo che non consentiva il rilievo d’ufficio di una clausola abusiva a danno del consumatore nella fase dell’esecuzione di un ingiunzione di pagamento non opposta. La Corte europea ha ritenuto detto diritto spagnolo contrario al principio di effettività della tutela.
Anche nel sistema Italiano l’intangibilità del giudicato è stata messa in discussione quando si è trattato del doveroso rilievo ufficioso di una nullità. Ci si riferisce alla pronuncia della Cassazione Civile, sempre a Sezioni Unite, del 22 marzo 2017 n.7294, riguardante un caso in cui in primo e secondo grado entrambe le parti avevano assentito sulla validità di un contratto sì da consentire la formazione di un giudicato interno [2].
La Corte d’Appello aveva rilevato d’ufficio una nullità violando, a detta del ricorrente per Cassazione, il giudicato interno che per converso le descritte Sezioni Unite hanno confermato essere violabile a seguito del “principio di diritto espressis verbis ribadito da Cass., Sez. Un., n. 26242 del 2014”, sopra illustrate. Non vi sono sostanziali differenze tra il giudicato interno ed esterno, motivo per cui sono prevedibili ulteriori e, in precedenza insospettabili, sviluppi.
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Tornando ai contratti bancari, trattandosi di nullità a favore di categoria protetta, la prova in giudizio della formazione per iscritto del contratto di conto corrente e apertura di credito anche sotto forma di anticipazione, deve essere sempre data dalla banca. A riprova è la circostanza che la giurisprudenza (cfr. Cass. n. 5919/2016, n. 7068/2016; n.8395/2016; n.8396/2016), nata per i contratti di investimento, ed estesa ai contratti di conto corrente oggetto di una previsione gemella (l’art. 23 TUF e l’art. 117 TUB prevedono entrambi la forma scritta per la validità del contratto), si è consolidata [3] nel senso che, qualora il contratto bancario sia privo della sottoscrizione della banca, o meglio la banca si è privata della possibilità di produrre in giudizio tale copia perché l’ha consegnata al cliente, non può ritenersi soddisfatto il requisito della forma scritta ad substantiam con conseguenze pregiudizievoli alla banca
[1] Sentenza adottata dopo un rinvio pregiudiziale (ex art. 267 TFUE) cui segue che la pronuncia sia giuridicamente vincolante quanto a interpretazione della questione, per tutti gli stati membri.
[2] La lite aveva riguardato la domanda di pagamento di una parte del corrispettivo di un appalto contrastata con una richiesta di danni per vizi dell’opera. In secondo grado attore e convenuto avevano accettato il giudicato implicito formatosi sulla validità del contratto ma la Corte d’ appello lo aveva egualmente dichiarato nullo per contrarietà a norme imperative.
[3]Si tenga però presente che con ordinanza della Prima sezione civile della Cassazione del 27 aprile scorso è stata rimessa al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 374, 3° comma, cod. proc. civ., la questione, ritenuta di particolare importanza se, a norma dell’art. 23 d.lgs. n. 58 del 1998, il requisito della forma scritta del contratto di investimento esiga, accanto a quella dell’investitore, anche la sottoscrizione ad substantiam dell’intermediario.
* avvocata civilista Foro di Latina
** avvocata civilista e amministrativista del Foro di Roma
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