“L’EUROPA DEI DIRITTI”, una come vera e propria guida per i lettori di LED, rubrica pensata e curata dall’Associazione Amistades come aggiornamento costante sui temi giuridici che più incidono a livello europeo. Si parlerà delle questioni più dibattute nell’ambito dell’Unione, gli argomenti all’attenzione del Consiglio d’Europa e sempre con l’attenzione vòlta alla tutela dei diritti.
Le pronunce rese dalle Corti europee (Corte di Giustizia dell’Unione Europea e Corte Europea dei Diritti dell’Uomo), gli atti adottati dalle istituzioni e, ancora, tanti quesiti di attualità e rilevanza per la vita dei Paesi membri e anche quando questi interessano altre organizzazioni internazionali operanti nel nostro continente come l’OCSE e l’OSCE.
Parole semplici e nessun tecnicismo per descrivere con immediatezza l’impatto che le decisioni prese a livello istituzionale hanno nella vita sociale e personale delle comunità nazionali e per quanti, cittadini e non, vivono e conoscono la realtà dell’Unione Europea.
di Federica De Paola *
La cooperazione strutturata permanente in tema di difesa (PESCO) è diventata realtà nel dicembre del 2017, dopo un lungo e tortuoso cammino segnato da rilevanti battute d’arresto. Il concetto era già stato introdotto con il trattato di Lisbona, con l’obiettivo di rafforzare la capacità di difesa dell’UE attraverso meccanismi di condivisione e cooperazione che rendano le forze armate europee in grado di lavorare in maniera congiunta1 e di garantire ai cittadini un maggior grado di sicurezza. L’obiettivo di fondo è dunque garantire alla difesa europea un maggior grado di efficienza a fronte di dati attualmente poco incoraggianti. Con un livello di spesa per la difesa che si assesta attorno al 40% di quello degli USA (1,3% contro 4% del PIL), infatti, Bruxelles raggiunge soltanto il 15% della capacità di Washington, sprecando di fatto oltre 26 miliardi l’anno a causa di duplicazioni, eccesso di capacità e acquisizione di barriere difensive. Dati alla mano, una maggiore integrazione tra le politiche di difesa degli stati membri sembrerebbe destinata ad avere ripercussioni favorevoli in termini di bilancio e di efficienza. Come contraltare, però, segnerebbe la messa in condivisione di un ambito, quello della sicurezza e della difesa per l’appunto, che è la quintessenza dell’interesse nazionale. È pertanto abbastanza comprensibile che, per molto tempo, gli stati membri si siano tenuti a distanza di sicurezza dall’istituzione di meccanismi che avrebbero potuto sottrarre autonomia alle politiche e alle strategie nazionali di difesa.
Ci si potrebbe dunque chiedere perché, dopo anni di silenzio, la strategia globale per la politica estera e di sicurezza dell’Unione abbia di fatto risvegliato quella che è stata definita la “bella addormentata” dell’UE. Ad influenzare il risveglio sono stati probabilmente una serie di fattori esterni tra cui l’insediamento della presidenza Trump, l’approssimarsi della Brexit, il sorgere nuovi focolai di rischio ai margini dell’UE, il delicato rapporto con la Russia e la sempre più sentita minaccia terroristica. L’Europa ha sostanzialmente riscoperto la necessità di sentirsi sicura e quindi di garantire ai propri cittadini il diritto alla sicurezza. Anche da parte di singoli stati membri, ciascuno spinto da motivazioni proprie, c’è stata una certa pressione a che venissero fatti passi avanti in tema di difesa comune2. Nel dicembre del 2016 è stato quindi approvato il piano di attuazione in materia di sicurezza e difesa, che delinea le azioni concrete da porre in essere per raggiungere obiettivi in stand-by ormai da diversi anni. In particolare, tra queste azioni figurano l’avvio di una revisione coordinata annuale sulla difesa (CARD) al fine di rafforzare la cooperazione tra gli Stati membri in materia di difesa; la creazione di una capacità militare di pianificazione e condotta (MPCC) al fine di migliorare le strutture di gestione delle crisi; il rafforzamento degli strumenti di reazione rapida dell’UE, inclusi i gruppi tattici e le capacità civili. Viene infine richiamata l’istituzione di una cooperazione strutturata permanente (PESCO) per il rafforzamento della cooperazione in materia di difesa tra gli Stati membri che desiderano approfondire questo tipo di cooperazione. Rispetto a quest’ultimo punto, un numero considerevole di stati si è mostrato pronto a seguire la strada indicata, firmando la notifica congiunta per la costituzione PESCO il 13 novembre 2017, che è poi diventata legalmente vincolante l’11 dicembre 2017 con una decisione del Consiglio degli Affari esteri dell’Unione europea.
Chi è dentro e chi è fuori
La “notifica congiunta” di novembre 2017 è stata firmata da 23 Stati Membri: Austria, Belgio, Bulgaria, Rep. Ceca, Cipro, Croazia, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia e Ungheria. Pochi giorni prima del voto in seno al Consiglio dell’UE, hanno aderito anche Irlanda e Portogallo. Al momento restano quindi esclusi soltanto Malta, la Danimarca (in base all’opting-out di cui dispone in materia di politica di sicurezza e difesa comune) e il Regno Unito, che ha ad ogni modo ribadito la volontà di partecipare alle iniziative europee per la difesa anche dopo che la Brexit sarà divenuta effettiva.3 A questo proposito è bene ricordare che, probabilmente anche per evitare di chiudere definitivamente le porte al Regno Unito, si è deciso che Stati terzi potranno essere invitati a partecipare ad alcuni progetti laddove “forniscano un valore aggiunto sostanzioso”, anche se non avranno comunque potere decisionale nella governance della PESCO.
Come funziona
L’articolazione della PESCO si sviluppa su due binari e opera da un lato a livello di Consiglio e dall’altro a livello di progetto. Questo significa che gli stati partecipanti ai singoli progetti sono chiamati a prendere decisioni operative a tal riguardo, mentre il Consiglio è responsabile della governance e del processo decisionale, ivi compreso il meccanismo di valutazione delle perfomance dei vari stati. Soltanto i paesi partecipanti hanno diritto di voto e le decisioni, ad eccezione della sospensione e dell’ammissione dei membri, vengono prese all’unanimità, mantenendo di fatto una struttura da cooperazione intergovernativa pura.
In linea di principio la PESCO, intesa come punto apicale della strategia sviluppata negli ultimi due anni, segna un importante passo avanti verso una gestione europea della politica di difesa. Infatti, anche se la partecipazione è volontaria e le decisioni sullo spiegamento di forze restano di competenza nazionale, una volta che gli stati hanno aderito gli impegni diventano vincolanti e nel caso in cui un paese non rispettasse gli impegni potrebbe essere estromesso dalla cooperazione.
I paesi partecipanti sono chiamati a sviluppare forze di reazione rapida e nuovi armamenti come droni e carri armati. In vista c’è anche la creazione di un singolo centro europeo per la logistica e il supporto medico, oltre che l’istituzione di un’area di libero scambio per prodotti per la difesa, avente portata superiore rispetto alle attuali direttive europee in materia. Per quanto riguarda l’aspetto finanziario, ogni paese è chiamato a contribuire e annualmente si procederà ad una valutazione dei singoli contributi; inoltre, per gli Stati partecipanti diventa un impegno vincolante quello di dedicare almeno il 20% del bilancio destinato alla difesa ad investimenti volti a colmare le carenze strategiche di capacità militare e almeno il 2% alla ricerca e sviluppo in tema di armamenti.
È importante ricordare che la PESCO non può essere intesa come una struttura autarchica, ma si affianca in particolare a due strumenti: da un lato alla già citata CARD, il cui supporto sarà orientato ad individuare possibili aree di cooperazione a fronte di un’analisi dettagliata delle inefficienze in ambito di spesa militare a livello nazionale ed europeo; dall’altro al Fondo europeo per la difesa, volto a sostenere gli Stati membri nell’utilizzo efficiente delle risorse e nella riduzione delle duplicazioni di spesa. L’idea è che i tre strumenti lavorino insieme, e diano vita ad un circolo virtuoso grazie al quale identificare le carenze strategiche in tema di difesa e contribuire a fornire gli investimenti per colmarle all’interno di un quadro politico-istituzionale adatto ad attivare un approccio coordinato.
Sviluppi recenti
Lo scorso 6 marzo il Consiglio ha adottato una roadmap per l’attuazione della PESCO che fornisce orientamenti e indirizzi strategici, in termini di governance e processi, per i progetti che il Consiglio dovrà adottare entro la fine di giugno 2018. In particolare, nella roadmap vengono definiti i calendari per il processo di revisione e valutazione dei piani nazionali di attuazione e per la definizione di potenziali progetti futuri. Inoltre, Il Consiglio ha definito formalmente l’elenco iniziale di 17 progetti di cooperazione riguardanti settori quali la formazione, lo sviluppo di capacità e la prontezza operativa nel settore della difesa, già concordati a livello politico nel dicembre 2017 e guidati ciascuno da uno stato partecipante4.
Il 22 maggio scorso, inoltre, è stato raggiunto un accordo provvisorio con rappresentanti del Parlamento europeo sulla regolamentazione del programma europeo di sviluppo industriale della difesa (EDIDP). L’accordo deve ancora passare per il consueto iter di approvazione, ma si prevede che il programma finanzi i primi progetti già nel 2019. L’obiettivo è di istituire un programma che miri a sostenere la competitività e la capacità di innovazione dell’industria della difesa dell’Unione con un bilancio di 500 milioni di euro per il 2019-2020, di cui potranno beneficiare anche le azioni messe in atto nel quadro della PESCO, che saranno eleggibili per maggiori finanziamenti.
In un contesto che appare ad oggi più propositivo di quanto sia stato negli ultimi 60 anni, si inseriscono però alcuni elementi che potrebbero rendere più difficoltoso il cammino. Si tratta sia di elementi interni, dovuti all’eterogeneità delle istanze che i vari stati partecipanti portano all’interno della PESCO e ai sempre attuali temi di finanziamento, che dei rapporti con l’esterno, in particolare con la NATO. Per quanto il Segretario Generale Stoltenberg abbia dichiarato che un rafforzamento della difesa Europea sarebbe positivo non solo per l’Europa ma anche per la NATO stessa, da Washington non sono mancati segni di diffidenza nei confronti dell’iniziativa, che è stata addirittura tacciata di protezionismo.
Il cammino è quindi ancora lungo, e se la PESCO vorrà essere efficace, dovrà quindi lavorare in maniera ponderata, perseguendo una delicata politica di “bilanciamento”, tanto sul fronte interno che su quello esterno.
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1 La base normativa per l’istituzione della PESCO è da rintracciarsi nell’articolo 46 del Trattato sull’Unione Europea e nel protocollo 10 sulla cooperazione strutturata permanente istituita dall’articolo 42 del Trattato sull’Unione Europea.
2 Si veda in questo senso la dichiarazione congiunta dei ministri della difesa di Francia e Germania del settembre del 2016 in cui si incoraggia l’UE a procedere verso l’instaurazione della PESCO.
3 Su questo punto si veda il documento sulla posizione britannica circa la futura partnership con l’UE “Foreign policy, defence and development: a future partnership paper” presentato il 12 settembre 2017.
4 L’Italia ha la leadership di quattro progetti, come la Germania; seguono Francia e Grecia con due progetti ciascuno e Belgio, Paesi Bassi, Slovacchia, Spagna e Lituania con un progetto.
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