SI COMPLETA L’ESAME DELLA FIGURA DEL MERGER LEVERAGED BUYOUT.
Dopo l’esame della generale configurazione dello strumento finanziario di fusione tra un soggetto (raider) che realizza l’acquisizione e la (target) società “bersaglio” nei confronti della quale è posta in essere l’operazione, merita cautela ed attenzione il versante che attiene alla ‘sicurezza’ della figura e, dunque, delle garanzie che la legge pone a favore dell’utente-fruitore e degli stessi operatori finanziari.
di Serena D’Onofrio *
Ci riferiamo innanzitutto all’opposizione ex art. 2503 cod. civ. che – come specifica la sentenza n.11747 del 2016 – è “Un’azione tipica propriamente ed esclusivamente rivolta ad invalidare lo specifico processo di fusione… sia pure per i timori più diversi e in alcun modo tipizzati, purchè correlati ad un serio timore di concreto pregiudizio a proprie ragioni creditorie”. I creditori dunque potranno avere un facile accesso – non essendone tipizzati i motivi, ma l’opposizione consta comunque di significativi limiti, quali innanzitutto il punto di vista parcellizzato del singolo creditore che, considerando solo il suo interesse immediato, trascurerà l’ effettiva sostenibilità del piano finanziario complessivo. “Il creditore avente fondate pretese e timore che la fusione tra società pregiudichi i suoi diritti di credito può chiedere idonee cautele per evitare la pubblicazione dell’atto di fusione…”, intendendo – con i termini “idonee cautele” – proprio l’opposizione. Ed ancora sul punto, una sentenza del 2016 ha asserito: “L’art. 2503 cod. civ. individua un’azione tipica, propriamente ed esclusivamente rivolta ad invalidare lo specifico processo di fusione oggetto di approvazione ex art. 2502 cod. civ. all’esito del complesso procedimento di cui agli art. 2501-ter ss. Cod. civ., sia pure per i motivi più diversi e in alcun modo tipizzati, purché correlati ad un serio timore di concreto pregiudizio a proprie ragioni creditorie. Ai fini della legittimazione alla proposizione dell’opposizione ex art. 2503 cod. civ. può reputarsi sufficiente la mera prospettazione di ragioni di credito non manifestamente infondate”.
Sussiste però anche un limite di ordine temporale all’utilizzo di tale rimedio: l’opposizione spetta ai creditori di ogni società partecipante, che siano divenuti tali prima dell’iscrizione del progetto effettuata da parte della società loro debitrice nel registro delle imprese, o prima della sua pubblicazione sul sito internet della società .
Numerosi sono però i dubbi sollevati dalla dottrina circa l’utilità e l’efficacia dell’opposizione come rimedio: con l’opposizione ex art. 2503 cod. civ. i creditori non hanno la possibilità di intervenire “nel merito” della sostenibilità dell’operazione di Merger Lbo: possono soltanto arrestarne il compimento.
Va poi osservato che l’opposizione riesce a tutelare le ragioni dei creditori soltanto in maniera “parcellizzata”: verrà protetto infatti, solamente l’interesse immediato a conservare un rapporto debito / credito della Target che non danneggi le singole istanze degli interessati, trascurando la effettiva sostenibilità del piano finanziario complessivo, nodo centrale della formulazione ex art. 2501 bis cod. civ. Il creditore può quindi dimostrare che l’operazione di leveraged è basata su previsioni finanziarie irragionevoli e che quindi renderà la società insolvente; ma la prova di una sostanziale violazione dell’art. 2501 bis cod. civ. è inutile se egli non dimostra che l’operazione lede la garanzia patrimoniale del singolo credito. La irragionevolezza del piano degli amministratori sarà dunque valida esclusivamente sul piano probatorio, al fine di dimostrare il pregiudizio patrimoniale che subisce il singolo creditore.
Una parte minoritaria della dottrina ritiene inoltre possibile la revoca dell’atto di fusione ex art. 2901 cc. Tale rimedio agirebbe sul piano della efficacia, operando una separazione patrimoniale dei beni della società risultante dalla fusione, non incidendo quindi né sull’esistenza della nuova società né sugli effetti organizzativi dell’atto di fusione, salvaguardando la stabilità della deliberazione e soprattutto del nuovo assetto societario. A tale ipotesi tuttavia ostano ragioni codicistiche. L’art. 2504 – quater preclude la pronuncia di invalidità dell’atto di fusione una volta che siano state effettuate le iscrizioni previste al secondo comma dell’art. 2504 cc. Questa disposizione ha lo scopo di assicurare certezza ai rapporti giuridici derivanti dalle operazioni di fusione e di scissione, ed evitare “il dirompente impatto che avrebbe la pronuncia della nullità dell’atto anche a notevole distanza temporale” .
Veniamo ora al rimedio reale che costituisce l’ultima ratio per i soci: il diritto di recesso, che dalla Riforma del 2003 ha subito un notevole ampliamento, al fine di tutelare i soci – soprattutto quelli di minoranza – da modificazioni sociali che potrebbero risultare per essi particolarmente onerose. Questione molto dibattuta in giurisprudenza è un aspetto particolare di tale diritto, che sfugge alle due disposizioni codicistiche (art. 2437 cc per le Spa e art. 2473 cc per le Srl): l’efficacia del recesso, il momento in cui il rapporto sociale può considerarsi sciolto. Il legislatore – infatti – non ha elaborato una disciplina completa circa l’efficacia del recesso, lasciando prevalentemente all’interprete l’onere di individuare il momento in cui il rapporto sociale si scioglie. Sul punto si sono formati così due orientamenti dottrinali opposti. Vi è la tesi cosiddetta della “efficacia immediata”, che individua il momento dello scioglimento del vincolo contrattuale nella ricezione da parte della società della dichiarazione di recesso, in perfetta coerenza – del resto – con il principio civilistico del carattere unilaterale e recettizio della dichiarazione di recesso.
La disposizione di riferimento è l’art. 2437 bis cod. civ.: “Il diritto di recesso è esercitato mediante lettera raccomandata che deve essere spedita entro quindici giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese della delibera che lo legittima, con l’indicazione delle generalità del socio recedente, del domicilio per le comunicazioni inerenti al procedimento, del numero e della categoria delle azioni per le quali il diritto di recesso viene esercitato. Se il fatto che legittima il recesso è diverso da una deliberazione, esso è esercitato entro trenta giorni dalla sua conoscenza da parte del socio. Le azioni per le quali è esercitato il diritto di recesso non possono essere cedute e devono essere depositate presso la sede sociale. Il recesso non può essere esercitato e, se già esercitato, è privo di efficacia, se, entro novanta giorni, la società revoca la delibera che lo legittima ovvero se è deliberato lo scioglimento della società.”
In relazione alla prima prescrizione, anche in giurisprudenza è fatto richiamo al carattere recettizio della relativa dichiarazione, basti pensare alla pronuncia del 2011 del Tribunale di Napoli : “Il recesso è negozio unilaterale recettizio giuridicamente efficace dal momento in cui la relativa dichiarazione è ricevuta dalla società. Da tale momento il socio perde il suo status e, di conseguenza, la legittimazione ad esercitare i diritti sociali, divenendo creditore della società per la liquidazione della quota”. Ad avvalorare la tesi della efficacia “immediata” del recesso vi è anche una pronuncia del Tribunale di Roma del 2005 in cui si ribadisce che: “Il socio in esito all’esercizio del diritto potestativo di recesso, non ha più diritto di intervento in assemblea, dovendo semplicemente essere considerato titolare del diritto a percepire la propria quota di liquidazione dell’attivo”.
Un secondo e opposto orientamento dottrinale ritiene invece che il recesso sia efficace solo al termine del lungo e complesso procedimento di liquidazione della partecipazione. Tale liquidazione – ricordiamo – può avvenire attraverso l’acquisto della partecipazione da parte di soci o terzi, con il rimborso mediante l’utilizzo di utili e riserve disponibili o infine, con la riduzione del capitale e conseguente annullamento della partecipazione (ex. Art. 2437 ter cod. civ.). La posticipazione dell’efficacia del recesso deriverebbe dalla particolare natura del contratto di società, che non può essere qualificato come un semplice contratto di durata, ma come un complesso insieme di relazioni e rapporti tra la società e coloro che vi partecipano, e che di conseguenza non può essere bruscamente interrotto da un singolo atto quale la dichiarazione di recesso.
Ciò determina delle conseguenze precise: per il socio che rimane tale fino a che l’operazione non si perfezioni, e per la società la quale – nel caso in cui si verifichino recessi in misura superiore a quanto preventivato – ha sempre la possibilità di interrompere l’operazione straordinaria annullando l’exit di tutti i soci. Il Magliulo – a sostegno di tale tesi – precisa che il socio recedente conserva invariata la sua posizione – ed i connessi diritti – fino a quando egli non abbia ottenuto la liquidazione della propria quota.
Ciò sarebbe ribadito anche dall’art. 2473, co. 4, cod. civ. il quale parla di “acquisto” della quota da parte degli altri soci o del terzo, sul presupposto che la quota nel frattempo resti nella piena titolarità del socio che vuole recedere, con gli annessi diritti ed obblighi. Tale assunto troverebbe ulteriore conferma nella pronuncia del Tribunale di Tivoli del 2011 per cui: “Il rapporto sociale dei soci receduti permane in vita fino a quando le azioni vengano acquistate dagli altri soci o dai terzi, oppure dalla stessa società, o fino a quando il rapporto sociale è sciolto singolarmente mediante la riduzione del capitale sociale o complessivamente mediante la procedura di liquidazione della società”. Infatti fino alla cessione o all’annullamento della partecipazione permane a favore del recedente l’intestazione presso il Registro delle Imprese, sul titolo e sul libro, con la possibilità che il socio possa ancora intervenire in assemblea. Sembrerebbe infatti errato negare la partecipazione del socio in un momento in cui l’efficacia del recesso può essere ancora vanificata dalla revoca della delibera, come ben sottolinea il Tribunale di Milano nel 2007 : “Non si può negare lo status di socio a colui che, pur avendo manifestato la volontà di uscire dalla compagine sociale, non ha ancora la certezza – né giuridica, né di fatto – di poter realizzare questo intento, che potrebbe essere vanificato dagli altri soci”.
Alla luce di queste opposte considerazioni esaminate dunque, quando possiamo effettivamente ritenere che il recesso abbia effetto? Un chiarimento forse può venire da una recentissima pronuncia del Tribunale di Milano Trib. Milano, Sez. Spec. Impr., 04/05/2017, n. 4949 : “Dopo la comunicazione del recesso, il socio mantiene la sua qualità e la titolarità dei diritti inerenti alla sua partecipazione fino al termine del procedimento di liquidazione della partecipazione. In tale prospettiva il recesso non impedisce al socio l’esercizio di quei diritti strettamente connessi al diritto alla liquidazione della quota e strumentali alla salvaguardia dell’integrità del patrimonio sociale”.
Il ragionamento che il giudice della legittimità svolge per giungere a tale conclusione ha come premessa la considerazione che (secondo quanto deciso dalla stessa Cassazione con la sentenza n. 5836/2016) il recesso da una società di persone è un atto unilaterale recettizio e, pertanto, la liquidazione della quota del socio receduto non è una condizione sospensiva dell’atto di recesso, ma un effetto stabilito dalla legge, con la conseguenza che il socio – una volta comunicato il recesso alla società – perde tale sua qualità di socio, anche prima di aver ottenuto la liquidazione della sua quota di partecipazione.
In altre parole, la dichiarazione di recesso del socio produce i suoi effetti nel momento in cui la volontà del socio di sciogliersi dal vincolo societario viene portata a conoscenza della società (Cassazione, sentenza n. 20544/2009), di modo che, a seguito di tale dichiarazione, il rapporto sociale del recedente si scioglie ed egli diviene titolare nei confronti della società di un diritto di credito alla liquidazione della sua quota di partecipazione (Cassazione sentenza n. 22574/2001).
Il fatto che, per effetto della comunicazione di recesso il rapporto sociale tra il socio recedente e la società si sciolga, rende poi inopponibili al medesimo tutte le successive vicende che interessino la società. Rispetto agli eventi successivi al recesso il socio receduto diviene quindi un terzo estraneo o, più esattamente, un creditore (per la liquidazione della sua quota di partecipazione) della società risultante dalla trasformazione, alla quale vengono infatti trasferiti i crediti e i debiti che la società aveva contratto in precedenza.