di Veronica Rauso
La Brexit è stato l’altro fenomeno oltre la pandemia a caratterizzare le vicende dell’Italia, dell’UK e dell’Unione Europea negli ultimi mesi. Molti sono stati gli aspetti evidenziati nel dibattito internazionale e ma oggi vorremmo focalizzare l’attenzione su come l’effetto Brexit possa incidere sulle startup innovative. Il Regno Unito è stato fino al 2020 la patria dell’economia innovativa, non solo per le migliaia di imprese in ambito Fintech e machine Learning ma anche per il ruolo di primaria importanza in ambito di Venture capital grazie anche alla presenza della BVCA[1].
Le tante incertezze che la Brexit ha portato con sé non hanno frenato gli investitori nell’interessarsi alle startup innovative in particolar modo in ambito tecnologico, cionostante non poche riserve da sciogliere dipenderanno molto da quali accordi il governo stringerà nei prossimi mesi. Come sappiamo, l’uscita del UK dall’Europa la configura come paese terzo, i cui rapporti saranno disciplinati dal Trade and cooperation agreement[2]: è questo il fulcro della questione. Terminato il periodo transitorio, durante il quale il Regno Unito è ricompreso ancora in ambito UE per salvaguardare le libertà fondamentali, le società italiane che hanno sedi periferiche in UK o viceversa potranno vantare ancora la denominazione di startup innovativa e quindi goderne di tutti i benefici?
Purtroppo no, in quanto uno dei requisiti fondamentali per definirsi startup innovativa e godere del beneficio fiscale è quello di avere sede principale in Italia e/o produttiva in uno dei paesi membri o in uno stato aderente all’accordo SEE[3]. Secondo l’art 54[4] che riportiamo in nota, la libertà di stabilimento pone il divieto di discriminare un imprenditore in base alla nazionalità e quindi dà la possibilità al cittadino di aprire una sede secondaria in uno degli stati membri godendo per essa degli stessi benefici fiscali che ha per la sede principale nel suo paese. La perdita di residenza in uno stato membro dell’unione europea e la non inclusione al See fanno decadere il requisito per qualificarsi startup innovativa e l’eliminazione dal registro speciale detenuto presso le camere di commercio.
Il problema si pone in particolar modo anche per le startup che operano nei mercati finanziari, che già virano in paesi come il Lussemburgo, per evitare di perdere il passaporto europeo. E’ il caso di M&G[5], società britannica nata agli inizi del 1900 come una società di costruzione espandendosi successivamente ed aprendo una divisione per dare supporto nel settore finanziario. Fino ad aprire sedi nella maggior parte delle capitali europee e approdare, prima del Covid, a Singapore. Altro caso è quello di Satispay la società che consente di inviare e ricevere fondi a e da altri utenti della stessa app. che ha deciso anche lei di trasferire la sua sede in Lussemburgo.
Si configura per l’Italia una grande opportunità, Milano potrebbe diventare la nuova meta attrattiva per investitori ed imprese.