La Corte Costituzionale ha appena trattato la questione del favor lavoratoris intervenendo, con pronunce di fine aprile 2018, in due distinti plessi normativi.
L’Esperto ci guida nella disamina di una figura tipica del processo del lavoro: una lettura chiara e ricca di spunti preziosi quale aggiornamento per gli operatori del diritto, ma anche utile informazione per quanti vivono le quotidiane dinamiche aziendali nei più diversi ambiti lavorativi.
Pasquale Lattari*
La qualità di “lavoratore” della parte che agisce (o resiste), nel giudizio avente ad oggetto diritti ed obblighi nascenti dal rapporto di lavoro, non costituisce, di per sé sola, ragione sufficiente – pur nell’ottica della tendenziale rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale alla tutela giurisdizionale (art. 3, secondo comma, Cost.) – per derogare al generale canone di par condicio processuale quanto all’obbligo di rifusione delle spese processuali a carico della parte interamente soccombente.
La considerazione che sovente il contenzioso di lavoro possa presentarsi in termini sostanzialmente diseguali, nel senso che il lavoratore ricorrente, che agisca nei confronti del datore di lavoro, sia parte “debole” del rapporto controverso, giustifica norme di favore su un piano diverso da quello della regolamentazione delle spese di lite, una volta che quest’ultima e resa meno rigida a seguito della presente dichiarazione di illegittimità costituzionale del secondo comma dell’art. 92 cod. proc. civ. con l’innesto della clausola generale delle «gravi ed eccezionali ragioni».
D’altronde disposizioni di favore già sussistono: il contributo unificato per le spese di giustizia è ridotto alla metà per le controversie individuali di lavoro o concernenti rapporti di pubblico impiego; vi è esonero di pagamento di onorari, spese competenze nei giudizi per prestazioni previdenziali ex art. 152 disp.att.ne cpc.“.
Più in generale può dirsi che e rimesso alla discrezionalità del legislatore ampliare questo favor praestatoris, ad esempio rimodulando, in termini di minor rigore o finanche di esonero, il previsto raddoppio di tale contributo in caso di rigetto integrale, o di inammissibilità, o di improcedibilità dell’impugnazione (art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002)”.
La Consulta pertanto non arriva ad introdurre una deroga ulteriore alla regola della condanna alle spese in caso di soccombenza centrata sulla natura della lite, “perché controversia di lavoro, ed a favore solo del lavoratore che agisca in giudizio nei confronti del datore di lavoro.” Tuttavia gli impulsi al giudice – a valutare tale condizione del prestatore tra le gravi ed eccezionali ragioni – ed al legislatore – a rivedere il raddoppio del contributo unificatoin caso di soccombenza – della sentenza della Consulta sono significativi. Con la speranza che non vadano ad aggiungersi ai numerosi moniti della Consulta al legislatore rimasti inascoltati.