CTU di tipo percipiente per la quantificazione di un credito

CTU di tipo percipiente per la quantificazione di un credito

Importante conferma dalla Sezione terza della Corte di cassazione n.14700 del 19 luglio 2016: dovuta l’ammissione (a volte erroneamente disattesa dai giudici di merito).

di Beatrice Celli * e Gloria Naticchioni**

La c.t.u., nell’ambito delle cc.dd. scienze tecniche, opera anche quale strumento di accertamento di fatti non altrimenti acclarabili se non con il ricorso a determinate cognizioni specialistiche (c.t.u. percipiente), da non confondere con la valutazione di fatti già acclarati (c.t.u. deducente). La ctu percipiente assurge, dunque, al rango di specifica fonte oggettiva di prova e non si ferma alla funzione di mero mezzo di valutazione che il Giudice può utilizzare secondo il proprio libero convincimento di peritus peritorum. Questo, peraltro, senza comportare per l’allegante l’ addebito di non avere assolto all’onere della prova. Costante e consolidata è la giurisprudenza di legittimità sul punto, ex ceteris Cass. 26 aprile – 22 giugno 2005 n. 13401: «Se il giudice affida al consulente il semplice incarico di valutare fatti già accertati o dati preesistenti, la funzione del consulente è deducente e la sua attività non può produrre prova; se, viceversa, al consulente è conferito l’incarico dì accertare fatti non altrimenti accertabili che con l’impiego di tecniche particolari, il consulente è percipiente, la consulenza costituisce fonte diretta di prova ed è utilizzabile al pari di ogni altra prova ritualmente acquisita al processo» (ex plurimis, Cass. 8 gennaio 2004 n. 88, idd., 21 luglio 2003 n. 11332, 16 maggio 2003.

Dalle avvocate Beatrice Celli e Gloria Naticchioni, un prezioso e recentissimo aggiornamento intervenuto dalla Suprema Corte nel luglio scorso: la questione, rilevante in materia di contenzioso bancario e non solo, sta acquisendo particolare spessore e rilevanza anche per la non sempre pacifica lettura che dell’istituto viene fornita dal giudice del merito.

Nel ricorso che ha originato la sentenza in epigrafe a mezzo del secondo motivo è stata denunciata la:
violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., art. 2697 c.c. e artt. 99 e 100 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per carenza e contraddittorietà di motivazione della sentenza impugnata, in relazione al principio dell’onere della prova che non può essere sopperito dall’espletamento di CTU“.
La Corte ha ritenuto il motivo infondato per le ragioni di seguito riportate:
“E principio generale di questa Corte che benchè le parti non possano sottrarsi all’onere probatorio a loro carico invocando, per l’accertamento dei propri diritti, una consulenza tecnico di ufficio, non essendo la stessa un mezzo di prova in senso stretto, è tuttavia consentito al giudice fare ricorso a quest’ultima per acquisire dati la cui valutazione sia poi rimessa allo stesso ausiliario (c.d. consulenza percipiente) purchè la parte, entro i termini di decadenza propri dell’istruzione probatoria, abbia allegato i corrispondenti fatti, ponendoli a fondamento della sua domanda, ed il loro accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche (Cass. n. 1190/2015; Cass. n. 20695/2013). Nel caso di specie la consulenza è stata disposta per determinare il credito della ……… e per esaminare i documenti depositati dall’appellante (oltre 100). Infatti ha consentito ai consulenti di valutare l’ammontare delle singole voci di credito e la loro rispettiva causale…. Pertanto la sentenza è scevra dai vizi logico giuridici lamentati.
Dalla metà degli anni ’70 fino ai giorni nostri, infatti, accanto alla CTU in funzione di «valutazione », si sono individuati anche i presupposti per considerare la CTU in funzione di «accertamento». Quest’ultimo orientamento della giurisprudenza di legittimità appare scolpito in una fondamentale pronuncia della Corte di cassazione a Sezioni Unite, la n. 9522 del 4 novembre 1996, ove si è cercato di conciliare opposte esigenze (da un lato quella di assicurare il rispetto del principio dell’onere della prova, e, dall’altro, di consentire al giudice l’acquisizione di elementi di fatto utili per l’accertamento della verità giudiziale), come si evince nella parte della sentenza in cui si legge che “il giudice può affidare al consulente tecnico non solo l’incarico di valutare i fatti da lui stesso accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente); nel primo caso la consulenza presuppone l’avvenuto espletamento dei mezzi di prova e ha per oggetto la valutazione di fatti i cui elementi sono già stati completamente provati dalle parti; nel secondo caso la consulenza può costituire essa stessa fonte oggettiva di prova, senza che questo significhi che le parti possono sottrarsi all’onere probatorio e rimettere l’accertamento dei propri diritti all’attività del consulente; in questo secondo caso è necessario, infatti, che la parte quanto meno deduca il fatto che pone a fondamento del proprio diritto e che il giudice ritenga che il suo accertamento richieda cognizioni tecniche che egli non possiede o che vi siano altri motivi che impediscano o sconsiglino di procedere direttamente all’accertamento”.
Il giudice che non ammette la CTU di tipo percipiente è obbligato a dare idonea motivazione ossia, (in questi termini Cass. civ. Sez. III n.88/2004): “In tema di procedimento civile, la consulenza tecnica d’ufficio – che può costituire fonte oggettiva di prova tutte le volte che opera come strumento di accertamento di situazioni di fatto rilevabili esclusivamente attraverso il ricorso a determinate cognizioni tecniche – è un mezzo istruttorio sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso al potere discrezionale del giudice, il cui esercizio incontra il duplice limite del divieto di servirsene per sollevare le parti dall’onere probatorio e dell’obbligo di motivare il rigetto della relativa richiesta. Ne consegue che il giudice che non disponga la consulenza richiesta dalla parte è tenuto a fornire adeguata dimostrazione – suscettibile di sindacato in sede di legittimità – di potere risolvere, sulla base di corretti criteri, tutti i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione, senza potere, per converso, disattendere l’istanza stessa ritenendo non provati i fatti che questa avrebbe verosimilmente accertato.”
O ancora, se la CTU è di tipo percipiente e se l’ onere della parte si riduce al dovere di allegazione (tratto da Cass. n.13401/2005):
“…. viola la legge processuale il giudice del merito che ne rifiuta l’ammissione senza verificare se in concreto la prova dei fatti poteva essere acquisita solo con l’impiego di particolari cognizioni tecniche ed, in caso affermativo, se la parte gravata dell’onere di provarli, ne avesse allegato l’esistenza.”
Segue, per chi volesse approfondire le singole fattispecie in relazione alle quali si è dibattuto sulla differenza tra CTU deducente e percipiente, l’indicazione delle altre pronunce rese sul tema:
Cass. n. 1881/1984; Cass. n. 3064 /1988; Cass. n. 2629 /1990; Cass. n. 2514 /1995;Cass. n. 10871 /1999; Cass. n. 27002/2005; Cass. n. 3990 /2006; Cass. n. 24620/2007; Cass. n. 6155/2009; Cass. SSUU n. 30175 /2011 (punto 4.1 della motivazione); Cass. n. 17268 /2012; Cass. n. 20695/2013; Cass. n. 1190/2015.

* avvocato civilista Foro di Latina
** avvocato amministrativista Foro di Roma

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