AmiStaDeS, la presidente Irene Piccolo: "In politica estera, l'Italia smetta di fare tappezzeria" 1

AMIStaDeS, incontro con la presidente Irene Piccolo: “In politica estera, l’Italia smetta di fare tappezzeria”

 

E’ anima e prima ideatrice del gruppo che si annuncia, prima volta a Latina, per riflettere sui maggiori temi di politica internazionale. L’intento di AMIStaDeS, prezioso e niente affatto scontato, è  fare informazione che sia più attenta e analitica su fatti e dinamiche troppo spesso lasciati al veloce pressapochismo delle notizie quotidiane.
Incontriamo la dott.ssa Irene Piccolo (Giurisprudenza alla LUISS con Specializzazione in Diritto Internazionale e dell’Unione Europea, oltre una serie nutritissima di Master in Tutela Internazionale dei Diritti Umani, Corsi multidisciplinari e in particolare sulla Tutela Internazionale dei migranti e rifugiati) e con lei entriamo in Amicizia (sullo stile di AMIStaDeS) con approfondite studiose e appassionate ricercatrici, legate da  un cammino fatto di impegno e forte convinzione. Poco più che trentenni, sono amiche neanche troppo remote, visto che l’incontro di Irene con Valentina Nardone e Claudia Candelmo risale al 2013 e alla non lontana stagione del Dottorato in Diritto Pubblico, Comparato e Internazionale, svolto presso il dipartimento di Scienze Politiche dell’Università ‘La Sapienza’ di Roma.
Irene Piccolo, relatrice nell’incontro geopolitico in collaborazione con LED, opera già da anni come analista e divulgatrice su temi di politica internazionale, già conosciuta e apprezzata in  diverse aree d’Italia e scenari internazionali.
Fino all’idea di un’associazione!

 

Intervista

AMIStaDeS è nome che va spiegato, raccontato, è quasi sorprendente. Da dove nasce?
Il nome AMIStaDeS è un’evoluzione dell’acronimo del mio blog personale “A me importa soltanto di sapere” (AMISDS), avviato nel settembre 2014 in un moto di arrabbiatura nei confronti dei media nazionali. Dopo aver sperimentato per quasi due anni l’attività di divulgazione nelle scuole e tra la c.d. “gente comune”, io e due mie ex colleghe di dottorato, Claudia e Valentina, abbiamo deciso di creare un’associazione che – partendo dallo stesso spirito che muove il blog – si occupasse della promozione della cultura internazionale in modo alternativo, e a volte totalmente opposto, a quello dei media tradizionali.

Scarabocchiando su un foglio, nell’estate 2016, alla ricerca di un nome per l’associazione, mi sono accorta che aggiungendo tre lettere sarebbe venuta fuori la parola “amistades”. E mi è piaciuta, non solo perché racchiudeva in sé l’acronimo del blog, che rimane storicamente il nucleo primigenio della nostra attività, ma anche perché trasmetteva immediatamente due concetti: l’amicizia che unisce le tre socie fondatrici e l’amicizia che vogliamo coltivare e far coltivare con il Sapere, inteso come conoscenza oggettiva delle cose, o perlomeno ricerca oggettiva di tale conoscenza, soprattutto grazie al plusvalore dato dalla chiave di lettura del diritto internazionale.

In quale modo perseguite questo scopo?
Le attività che svolgiamo sono diverse, giacché abbiamo l’obiettivo di raggiungere target eterogenei. Innanzitutto, proponiamo attività extracurricolari nelle scuole, che accompagnano le discipline tradizionali inserendo nel percorso didattico degli studenti approfondimenti di natura internazionale legati all’attualità geopolitica o a tematiche sempre in auge come il conflitto israelo-palestinese. In secondo luogo, realizziamo corsi online, gratuiti o a pagamento, su temi poco dibattuti o spesso fraintesi, rivolti a chiunque voglia saperne di più al fine di accrescere la consapevolezza della società civile su uno specifico tema utilizzando un linguaggio il meno tecnico possibile. Inoltre, organizziamo conferenze prevalentemente rivolte, da un lato, a istituzioni e mondo imprenditoriale e a studenti universitari, dall’altro, su temi a nostro avviso imprescindibili nel “qui ed ora” della realtà italiana. Teniamo, infine, aperitivi geopolitici che portino la realtà internazionale in posti “insospettabili” cercando così di avvicinare target generalmente lontani da tematiche di questo tipo.

A detta di molti, il confronto con l’informazione e i giornali dall’estero riflette un dibattito italiano alquanto limitato e poco attento sulle questioni internazionali. Siamo forse una società provinciale e ripiegata su se stessa?
Come detto, il blog prima e l’associazione poi perseguono una “lotta” a favore di un’informazione oggettiva e di qualità. Ultimamente è una malattia dei media tutti, quindi anche di quelli internazionali (salvo poche eccezioni), quella di essere così interessati allo scoop da non riuscire/volere trovare il tempo necessario per dedicarsi a uno studio attento della questione di turno, al fine di tirarne fuori un’analisi attendibile. L’”informazione veloce” sta sacrificando troppo l’informazione di qualità”.

Questa patologia colpisce ancor di più i media nostrani che sono, in aggiunta, imbevuti troppo spesso di pregiudizio nella trattazione della politica internazionale. E in mancanza del tempo necessario all’approfondimento di cui ho appena parlato, le testate italiane vivono “di rendita”, ossia sviluppano tutti i propri ragionamenti sulla base di quella che è stata per decenni la narrazione della politica internazionale, senza rendersi conto che nel frattempo le cose sono mutate e quindi la chiave di lettura va riaggiornata.

E ritieni matura, per questo obiettivo, la società del nostro Paese, fra i pesanti scenari dei fenomeni migratori o, peggio, le sempre più frequenti tentazioni di vera e propria xenofobia?
E’ questo il punto cruciale, e lo dico con dispiacere: l’Italia (intesa come classe/rappresentanza politica e di governo) non ha una sua politica estera perlomeno dagli anni ’50, politica estera che si è sempre tradotta nel mantenere un low profile. Difatti, non esponendosi mai veramente, l’Italia si è assicurata di non trovarsi mai contrapposta a nessuno con particolare acrimonia, quindi a non essere mai considerata da nessuno Stato come antagonista. A questo apparente vantaggio del low profile, tuttavia, si accompagna la naturale conseguenza di non essere stata mai nemmeno considerata seriamente come protagonista.
Insomma, l’Italia ha sostanzialmente fatto tappezzeria nella stanza dei bottoni e si è limitata ad essere esecutrice di scelte prese da altri a cui si è sostanzialmente accodata.
Questo comportamento tenuto all’estero si riflette e, inevitabilmente, si inserisce nel DNA del cittadino italiano uti singulo e nella società italiana nel complesso, concretizzandosi in un quasi completo disinteresse nei confronti di ciò che è la cultura internazionale. Ma, mentre fino a qualche decennio fa, ciò poteva non essere così dannoso, adesso disinteressarsi di quanto avviene al di fuori dei confini nazionali è nocivo perché in un mondo interconnesso, come
quello in cui viviamo, ciò che avviene, per esempio, in Cina ha ripercussioni anche sull’Italia.
E se vogliamo essere protagonisti del nostro tempo, e non semplici burattini nelle mani di altri, se vogliamo davvero decidere qualcosa e non semplicemente illuderci di decidere, dobbiamo informarci.

In che modo la scelta di un tema come quello dell’Aperitivo geopolitico che proposto in questi giorni al pubblico di Latina può relazionarsi ad una realtà locale? Qual è la chiave di lettura che intendete offrire?
Crediamo fortemente che l’argomento proposto sia una questione da cui nessuno può dirsi estraneo, vista l’interconnessione globale tra le piccole e le grandi realtà. Inoltre, non dimentichiamo che dai singoli conflitti, che compongono attualmente una guerra mondiale, anche se a pezzi, derivano progressive destabilizzazioni dei Paesi coinvolti, non soltanto da un punto di vista politico (per cui si generano flussi migratori, che le realtà locali sono le prime a vivere in tutta la loro complessità) ma anche economico (si pensi alle partnership commerciali dei piccoli e grandi imprenditori italiani che vengono, di fatto, influenzate in negativo e in alcuni casi rese addirittura impossibili dalle vicende internazionali). Destabilizzazioni che quindi hanno influenza sulla vita quotidiana non solo delle grandi città, anche dei poli più piccoli che però col passare del tempo diventano sempre più centrali. La Siria e l’Ucraina sono solo alcuni di questi esempi, ma sono tra i più eclatanti e al contempo mal conosciuti.

Intervista raccolta da Annalisa Romaniello

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