22 settembre 1990   ROSARIO LIVATINO: il 'giudice ragazzino' vittima della stidda siciliana parla ancora oggi alla coscienza di laici e credenti

21 settembre 1990 – ROSARIO LIVATINO: il ‘giudice ragazzino’ vittima della stidda siciliana parla ancora oggi alla coscienza di laici e credenti

“Ogni mattina il giudice “Ragazzino” percorreva la statale con la sua auto, solito tragitto, da Canicattì ad Agrigento. Lo fecero sbandare, allora uscì dall’auto in cerca di salvezza, cercando rifugio attraverso i campi ma fu freddato da un colpo di pistola in pieno viso.  A soli 22 anni si laureò in Giurisprudenza con il massimo dei voti, e immediatamente entrò in magistratura superando il Concorso pubblico nel 1978, dopo averne già superato un primo con esito positivo. Fu ucciso il 21 settembre del 1990, in quel momento occupava il posto di Giudice a latere presso il Tribunale di Agrigento … ” –  [da Maria Grazia Vannini su   l’Ora Legale di Agrigento]

LA FEDE COME ISTANZA VIVIFICATRICE DELL'ATTIVITA' "LAICA" DI APPLICAZONE DELLE NORME.

(Conferenza tenuta dal dott. Rosario Livatino il 30 aprile 1986 a Canicattì, nel salone delle suore vocazioniste) –  in  Scritti

 

Il compito dell’operatore del diritto, del magistrato, è quello di decidere; orbene, decidere è scegliere e a volte scegliere fra numerose cose o strade o soluzioni; e scegliere è una delle cose più difficili che l’uomo sia chiamato a fare. Non soltanto perché la scelta dirime una problematica del passato (giudizio di colpevolezza, giudizio di inadempienza etc.), ma anche perché molto spesso la scelta comporta una previsione degli effetti a venire (affidare un minore al padre o alla madre “separandi”).

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L’attore Giulio Scarpati nel film “Il giudice ragazzino” (1994) diretto da Alessandro Di Robilant. La pellicola è incentrata sulla vita del giudice siciliano Rosario Livatino.
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Ed è proprio in questo scegliere per decidere, decidere per ordinare, che il magistrato credente può trovare un rapporto con Dio. Un rapporto diretto, perché il rendere giustizia è realizzazione di sé, è preghiera, è dedizione di sé a Dio. Un rapporto indiretto per il tramite dell’amore verso la persona giudicata. Il magistrato non credente sostituirà il riferimento al trascendente con quello al corpo sociale, con un diverso senso ma con uguale impegno spirituale. Entrambi, però, credente e non credente, devono, nel momento del decidere, di mettere ogni vanità e soprattutto ogni superbia; devono avvertire til peso del potere affidato alle loro mani, peso tanto più grandeperché il potere è esercitato in libertà ed autonomia.

E tale compito sarà tanto più lieve quanto più il magistrato avvertirà con umiltà le proprie debolezze, quanto più si ripresenterà ogni volta alla società – che somma così paurosamente grande di poteri gli affida – disposto e proteso a comprendere l’uomo che ha di fronte e a giudicarlo senza atteggiamento da superuomo, ma anzi con costruttiva contrizione.
Ed ancora una volta sarà la legge dell’amore, la forza vivificatrice della fede a risolvere il problema radicalmente.
Ricordiamo le parole del Cristo all’adultera: “Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra”; con esse egli ha additato la ragione profonda della difficoltà: il peccato è ombra e per giudicare occorre la luce e nessun uomo è luce assoluta.
Compito del magistrato non deve quindi essere solo quello di rendere concreto nei casi di specie il comando astratto della legge, ma anche di dare alla legge un’anima, tenendo sempre presente che la legge è un mezzo e non un fine. Verità che ritroviamo nelle altre parole che Gesù ebbe a pronunziare quando, secondo Marco, a proposito dello spigolare in giorno di sabato, disse, rivolto ai farisei: “Il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato.”